Descrizione
Nell’antico Borgo di San Giovanni, che precede la città di Rimini nell’ultimo tratto della via Flaminia, sorgevano un tempo numerose importanti chiese. L’unica che sopravvisse nel corso dei secoli fu quella che portava il nome stesso del borgo, a due passi dall’Arco d’Augusto. Testimonianze certe confermano l’esistenza di una originaria pieve già nel 996 d.C., ma è più che verosimile che la sua fondazione sia da rintracciare parecchi secoli prima.
Nel 1573, i Carmelitani, appena giunti in città, decisero di acquistare la chiesetta medievale per ingrandirla e annetterla al loro nuovo convento. Esattamente un secolo dopo (1672), un gravoso terremoto indebolì la struttura antica dello stabile, che più tardi dovette essere abbattuto per essere ricostruito ex novo. Su progetto dell’architetto Gaetano Copioli i lavori iniziarono nel 1767 e finirono nel 1772, come testimonia la scritta incisa sul portale in pietra della chiesa. Sorse così un edificio solenne, ad unica navata, con robusti costoloni, lesene e semicolonne; ingentilito da raffinati decori, modanature e coretti in stile rococò. Originariamente doveva presentarsi come un luogo candido, completamente bianco, probabilmente per omaggiare la virginità della Madonna del Carmine, in esso venerata. Oggi invece si presenta impreziosito da dorature, rivestimenti marmorei policromi e affreschi di Pasquale Arzuffi, ispirati ai santuari ottocenteschi, ma eseguiti solo negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
Soppressi i Carmelitani nel 1797, la chiesa passò poi ai frati Cappuccini, ma già nel 1805 venne trasformata in diocesi del borgo.
Mentre la facciata in mattoni appare semplice e sobria, fatta eccezione per il già citato portale in pietra e per le statue di San Giovanni Battista e Sant’Elia (rispettivamente titolare della chiesa e fondatore dell’ordine carmelitano), eseguite da Carlo Sarti a metà ‘700; l’interno, nelle sei cappelle laterali e nella profonda abside, è ricco di numerose e importanti opere.
Sull’altare maggiore campeggia un grande Crocifisso ligneo, il più antico della città, probabilmente eseguito in Francia alla fine del XIII secolo e pervenuto a San Giovanni dal distrutto santuario di San Gaudenzo.
Da quest’ultimo proviene anche la pala “Il martirio di San Gaudenzo”, eseguita da Giuseppe Soleri Brancaleoni nel 1794, oggi collocata nell’ultima cappella laterale sinistra; mentre in quella di destra si trovano due grandi reliquiari del XVIII secolo in stile rococò, accompagnati da una Pietà in legno del 1500, proveniente questa volta da S. Maria in Acumine.
Proseguendo, si ammirano le due ricche e sontuose cappelle laterali centrali, le più grandi della chiesa. Sulla sinistra si trova “La predica di San Giovanni Battista” eseguita da Andrea Boscoli nel 1599, per essere collocata originariamente sull’altare maggiore; mentre sulla destra è collocata la venerata Madonna del Carmine. Non sono tuttavia queste le vere attrazioni delle cappelle; lo sono invece le decorazioni in stucco degli altari. A incorniciare la pala è infatti lo splendido ‘pannarone’ di Giovanni Maria Mazza (inizi 1700), proveniente dalla chiesa dei Teatini, distrutta nel terremoto del 1916; a creare, invece, una sorta di santuario vivace e trionfante per la statua della Vergine è l’ancona in stucco con colonne tortili, angeli, drappi rococò del giovane riminese Antonio Trentanove (1772), uno dei più grandi plasticatori italiani di fine Settecento.
Infine, nella cappella destra al fianco dell’ingresso, è stata collocata dai Cappuccini, durante il loro breve periodo a San Giovanni, la pala di Cosimo Piazza, eseguita nel 1611 per l’altare maggiore della soppressa chiesa di Santa Maria Annunciata (demolita dai napoleonici), nella quale, in gusto tardomanierista, sono raffigurati, sotto la Trinità e la Madonna, San Francesco, San Girolamo e i santi protettori della città.
Su tutti questi capolavori merita, comunque, uno sguardo più ammirato la prima cappella laterale di sinistra. Qui trova posto l’intima e travolgente tela di Guido Cagnacci, dipinta intorno al 1630, per celebrare la recente canonizzazione dei tre mistici Carmelitani: Andrea Corsini, Teresa d’Avila e Maria Maddalena de’ Pazzi. Il legame tra il giovane artista e l’ordine carmelitano si creò in occasione di un rocambolesco evento. Nel 1628, il pittore santarcangiolese si innamorò della contessa Teodora Stivivi, vedova Battaglini, ma essendo di umili origini, trovò ostacolo nella famiglia di lei. I Carmelitani aiutarono i due amanti, celebrando in segreto la loro unione, che però venne scoperta e immediatamente sciolta e portò il Cagnacci all’esilio dalla città e la contessa ad un secondo matrimonio d’interesse.