San Francesco Saverio (Suffragio)

Chiesa Cattolica Suffragio, Piazza Luigi Ferrari, Rimini, RN, Italia (0)

Descrizione

I Gesuiti giunsero a rimini solo nel 1627. Non erano ben visti dalla popolazione locale, perché troppo rigidi nei loro insegnamenti, né erano ben accetti dal clero, perché troppo potenti. Nonostante ciò riuscirono a trovare un luogo dove insediarsi, grazie ad uno dei loro primi e maggiori seguaci, il nobile Francesco Rigazzi, che, dopo averli ospitati in alcune sue proprietà, lasciò loro un’ingente eredità testamentaria. Con quest’ultima l’Ordine comprò dei terreni ed edificò tra il 1718 ed il 1740 la Chiesa di San Francesco Saverio, santo martire canonizzato nel 1622 come “l’apostolo delle Indie”. Finita la chiesa, decisero poi di costruirvi accanto un grande convento, oggi trasformato nel Museo della Città.
Per il luogo di culto chiamarono l’architetto Domenico Trifogli, ticinese attivo prevalentemente ad Imola, il quale si ispirò al modello romano di Ludovico Rusconi Sassi. Ciò che ne derivò fu una chiesa molto vicina al prototipo della Chiesa del Gesù di Roma. Ampi e luminosi spazi, arricchiti da studiatissime decorazioni contenute e tuttavia fantasiose.
La facciata rimane ancora incompiuta e sul portale domina tutt’oggi lo stemma dell’Ordine. Entrando, l’unica navata è fiancheggiata da cappelle votive e termina in un transetto, su cui poggia una cupola ribassata e cieca, dilatato ai lati da due cappelloni. Infine, sulla piatta abside trionfa ancora una volta lo stemma dei Gesuiti.
L’originale apparato decorativo e figurativo venne tuttavia modificato nel corso dei secoli, per la successione degli affidatari della chiesa e dei titoli della stessa.
Dei Gesuiti rimangono oggi quattro grandi pale. Due sono di Pietro Rotari: “L’Adorazione di San Francesco Borgia” e la “Gloria di Sant’Ignazio di Loyola”, una dello Spisanelli, il “San Francesco Saverio”, e un’altra di Guido Cagnacci, “I tre martiri Gesuiti del Giappone”. Sempre del periodo sono le opere del riminese Francesco Buonamici, quali l’altare maggiore e il cappellone di Sant’Ignazio, nel transetto destro, nel quale sono inserite le sculture di Fede e Prudenza dello scultore bolognese Carlo Sarti.
Soppressi i Gesuiti nel 1773, la chiesa e il collegio vennero trasformati in Seminario vescovile e in questo periodo, nel 1788, dopo un violento terremoto, si decise di trasportare dalla distrutta cattedrale di Santa Colomba il “San Emidio”, protettore dei sismi, di Giuseppe Soleri Brancaleoni, spostando la pala dedicata a San Francesco Borgia in un’altra cappella.
Nel breve periodo domenicano (1796/97), invece, arrivò la cinquecentesca pala di Marco Marchetti “La salita al Calvario”.
Prese poi la direzione di San Francesco Saverio la Confraternita del Suffragio, da cui la chiesa ancora oggi prende il nome. In questo periodo la chiesa si arricchì di statue allegoriche e votive, andate tutte distrutte tranne il San Nicola da Tolentino di Carlo Sarti.
Nel 1806, quando la chiesa assunse i titoli e la funzione della distrutta parrocchia di San Martino ad Carceres, arricchì ulteriormente i suoi interni con la splendida pala del Frangipane “Madonna col Bambino e SS. Martino e Giovanni Battista (metà 1600). Altre opere, invece, furono collocate nella Sagrestia: “La fuga in Egitto” dell’Arrigoni, “La Vergine Assunta” del Sarzetti e il “San Giovanni Nepomuceno” dell’Amorisi.
La Seconda Guerra Mondiale arrecò gravi danni alla chiesa, tanto più essendo questa vicina alla stazione e al ponte ferroviario. Da poco ristrutturata, la Chiesa del Suffragio è ritornata alla sua elegante solennità, perdendo nel 1990 la funzione parrocchiale e divenendo, come tutte le altre chiese cittadine, semplice rettoria.

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