Museo Marino Marini

Piazza di San Pancrazio, 50123, Firenze, FI, Italia (0)

L'edificio

il museo marino marini è collocato nel centro storico di firenze, all’interno della ex-chiesa di san pancrazio, tra via della vigna nuova e piazza santa maria novella. l’insediamento ecclesiastico di san pancrazio, già documentato agli inizi del ix secolo, viene costituito in prioria dopo il 1100; alle monache benedettine che lo hanno in uso tra il xii e il xiii secolo subentrano i vallombrosani, che attuano una radicale ristrutturazione del convento, completata tra il 1457 e il 1467 dall’intervento di leon battista alberti, patrocinato dai rucellai. la sua cappella del santo sepolcro, originariamente comunicante con l’interno della chiesa, viene isolata nel 1808, anno della soppressione napoleonica e della sconsacrazione di san pancrazio, con la rimozione del triforio albertiano, ricomposto nella facciata con proporzioni fortemente variate. un destino di profanazione attende l’edificio: alla dispersione degli arredi segue l’impiego come lotteria napoleonica, sede della pretura e poi della manifattura tabacchi, quando un incendio distrusse la muratura absidale; infine come deposito militare. questa lunga e alterna vicenda si conclude nel 1988 con l’apertura di uno spazio museale che coniuga felicemente antico e moderno: la città ritrova un edificio storico sottratto ad usi impropri attraverso una laboriosa opera di restauro, progettata dagli architetti bruno sacchi e lorenzo papi, e acquista il primo museo di arte contemporanea.

Il complesso medievale

il complesso religioso di san pancrazio, costituito dalla chiesa e dal monastero adiacente, rappresentò per secoli uno dei riferimenti primari della vita popolare fiorentina: accanto si apriva infatti una delle porte di accesso alla città, sovrapposta al primitivo impianto romano. il complesso di san pancrazio era un organismo articolato, sviluppatosi notevolmente tra trecento e quattrocento, per l’infaticabile attività dei monaci e per la generosa disponibilità di alcune famiglie borghesi. le memorie dell’insediamento religioso risalgono probabilmente al ix secolo; l’attuale struttura, imponente nonostante le alterazioni e le rovine portate dal tempo e dalla storia, risale al trecento. agli ultimi decenni del secolo, in concomitanza con il priorato di lorenzo di guidotto martini, risalgono le opere fondamentali che dovevano costituire l’“isola” di san pancrazio, cuore di un rione cittadino fortemente caratterizzato. si innalzò allora la grande aula, coperta con capriate a vista, terminante con un coro e in un transetto dotato di cappelle; lo scheletro perimetrale dell’attuale museo è in gran parte ancora l’edificio tardomedievale, il cui residuo a vista di maggior spicco è il vano dell’antica sagrestia, in fondo ad est, l’unico che ha conservato la volta a crociera costolonata.

Alberti e la Cappella Rucellai

dopo la metà del quattrocento, per iniziativa di giovanni di paolo rucellai, esponente eminente di quella famiglia che aveva il patronato sulla cappella maggiore della chiesa, vedrà la luce, in una cappella laterale di san pancrazio - la prima sul lato verso occidente - una delle “meraviglie” del rinascimento fiorentino, il sacello del santo sepolcro, gioiello dell’architettura albertiana. pur non esistendo documenti o testimonianze che ricolleghino il prezioso scrigno marmoreo, riproduzione ideale del sepolcro di cristo a gerusalemme, all’ideazione del grande teorico umanista, è tale l’impronta inconfondibile del suo linguaggio che non è più messa in dubbio la paternità del progetto. il sacello del sepolcro venne collocato nella prima cappella a sinistra della chiesa, preesistente ma rimaneggiata dall’alberti, collegato con il vano principale attraverso un elegante triforio formato da due agili colonne corinzie sormontate da una trabeazione del fregio strigilato. in seguito alla sconsacrazione della complesso religioso, avvenuto nel 1808, la cappella fu rivendicata in proprietà dai rucellai; fu quindi ordinata la chiusura del vano di collegamento con l’edificio principale e l’apertura di un ingresso autonomo su via della spada.

Il restauro moderno

dal 1982 l’intervento di restauro del complesso di san pancrazio viene affidato agli architetti lorenzo papi e bruno sacchi; per la precisione, i progetti dei due architetti devono innestarsi su un parziale intervento già operativo negli anni precedenti, che aveva visto la demolizione della facciata interna barocca e l’elevazione di due tralicci a sostegno di una nuova copertura del vestibolo. il filo conduttore del restauro, inteso non quale pura esercitazione di recupero astratto, ma di adattamento alla nuova funzionalità museale, ha puntato alla restituzione della leggibilità dell’organismo monumentale, in tutte le sue scansioni, dall’involucro medievale all’orditura interna settecentesca, con le ulteriori sovrastrutture protoindustriali in ferro della fine dell’ottocento. l’intervento ex novo si caratterizza soprattutto nel dipanarsi di un percorso liberissimo - scale e passerelle nettamente individuate per forma e colori dai manufatti antichi - che permette di riconoscere appieno e di interscambiare le memorie di una storia antica e gli eccezionali documenti di una poetica moderna ed attuale, quella di marino marini. l’unico settore dove il progetto odierno ha dovuto intervenire con una reinvenzione radicale è la parete di fondo, corrispondente all’antico coro di cui non rimanevano vestigia alcune, risolta con una“parete di luce”, una grande vetrata scandita da una intelaiatura la cui geometria astratta ripropone le scansioni di forza dell’edificio antico.

L'allestimento museografico

nell’ambiente del museo sono stati concepiti e creati dei“percorsi” finalizzati alla lettura delle opere di marino marini, con particolare attenzione all’esasperata tridimensionalità dell’artista pistoiese. eccezionale, e forse irripetibile in altri contesti, la possibilità di“girare” intorno alla scultura, di rimirarla in prospettive sempre variate di accostamenti non usuali, con proiezioni a diversi livelli, oltre che con diverse angolazioni. il piano terra del museo presenta in declinazione monumentale il poema univoco e coordinato di marino, la metafora del cavaliere come storia di un uomo che smarrisce la fiducia nella ragione e nell’autocontrollo. sempre nell’aula maggiore del museo si è voluto accostare il controcanto delle pomone, opere di dimensioni monumentali secondo un motivo tematico che nella poetica di marino si è spesso intrecciato con quello del cavaliere. il piano intermedio ha in questo complesso museale il valore di una pausa di riflessione, un’isola più intimistica, che pone l’accento su un marino meno epico e polifonico ma, forse anche per questo, più suggestivo e per molti aspetti intrigante. in questa zona del museo sono conservate alcune opere di vario soggetto e una serie di sculture medio-piccole, di cui un piccolo gruppo significativo dell’attività di ritrattista di marino marini. il filo conduttore che lega e guida la presentazione delle opere del piano alto è un concetto tutto particolare di“teatralità”: lo spazio assume di nuovo respiro dilatato e imponente, e in questo contesto, in rapporto anche ai temi, la messa in scena è volutamente accentuata. qui trovano posto le ballerine e i danzatori degli anni cinquanta, che sono l’evoluzione estrema, tra inquietudini sorde e invasamenti panici, del percorso formale di marino marini.

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